[Due giorni fa sono rimasto “prigioniero” della metropolitana milanese. Oggi è uscito sul Corriere della sera un mio pezzo su quella vicenda. Ecco l’inizio]
Quello che si sarebbe trasformato in un collettivo viaggio della speranza per il sottoscritto inizia poco dopo le 17 alla fermata Bande Nere della M1. La banchina è piena di gente: tutti usciti prima dal lavoro per evitare di rimanere appiedati dallo sciopero. Routine, sono così frequenti queste astensioni dal lavoro che ormai ci siamo abituati e abbiamo preso le nostre contromisure. O così credevamo. Appena salito sul convoglio, dopo un buon dieci minuti d’attesa, non va tanto male, anzi; alla fermata di Cadorna trovo addirittura un posto a sedere. Un vero colpo di fortuna perché alla stazione successiva, quella di Cairoli, il treno su cui viaggio si fermerà per poi ripartire dopo più di due snervanti ore d’attesa. L’altoparlante ripete ogni dieci secondi che siamo fermi per permettere i soccorsi a un passeggero nella stazione di Lima
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