I propositi turistici di Enrico avevano preso forma, senza preavviso, al momento del petit déjeuner.
Superare l’infinita diatriba fra croissant e pain au chocolat,il suo concorrente più diretto e agguerrito, non fu semplice. Il secondo è forse meno nobile, ma probabilmente più gustoso. Radeschi li mise a confronto, senza decretare un vincitore, intingendoli nella sua tazza piena di café au lait. Parlare di cappuccino, come avrebbe invece preteso il cameriere, sarebbe stata un’eresia. E su questo punto si ruppe il vaso di Pandora. Cominciare senza caffè, o meglio, senza un caffè come si deve, autentico, caldo, nero, era impossibile per lui.
Il portiere dell’hotel, uno spagnolo col sorriso furbo, gli consigliò il baretto di un romano lì vicino che faceva l’espresso come in Italia. Si trovava in uno dei passages, quelle gallerie strette ma luminose piene di negozi, ristoranti, rigattieri e ogni genere di commercio, costruite nel ventre caldo dei palazzi.
Da quella tazzina era nata l’idea di prendersi un po’ di tempo per visitare la città.
«Dans les passages il y a Paris», recitava un pannello di ottone fissato all’ingresso. Un mondo nascosto nel cuore della città, che sbucava al cospetto dell’Hard Rock Cafè, simbolo della globalizzazione, che, ironia della sorte, si affacciava su boulevard des Italiens.
Col sapore del caffè ancora in bocca, Radeschi si era fatto trascinare dalla corrente, gironzolando senza una meta precisa. Si era così imbattuto nell’anonima e austera sede di «Le Figaro», per poi proseguire, a passi lenti, giù per l’ampio marciapiede di boulevard Haussmann, fino allo scenografico poster di una donna in bikini che troneggiava sulla facciata dei magazzini La Fayette. Giunto lì, aveva un solo obbiettivo: la chiesa bianchissima che lo scrutava da lassù. Una passeggiata di tre quarti d’ora, solo per godersi la vista impareggiabile della città dall’alto e la mediocrità di una birra francese.
dal romanzo di Paolo Roversi “Niente baci alla francese” (Mursia)
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