Se capitaste in un piccolo borgo rurale, di quelli che sulla carta bisogna mettersi d’impegno per trovare, al cospetto di un omone a torso nudo grande come un armadio, che vi grida contro con occhi feroci mentre impugna una spada giapponese affilata come un rasoio, intanto che le teste di cuoio dei carabinieri vi sparano addosso bombe al peperoncino – che fanno lacrimare voi e l’energumeno come vitelli – e un nugolo di vecchietti artritici immersi in una pozza d’acqua tiepida fino alle ginocchia assiste alla scena, ridendo di gengiva e indicando un piccoletto che vi viene incontro infilato dentro un’armatura quattrocentesca e brandisce una mazza ferrata, ecco, l’unico consiglio, casomai vi trovaste in questa situazione è: non disperate e rimanete calmi. Non siete morti – anche se forse preferiste esserlo – e non vi siete nemmeno risvegliati dentro una camicia di forza in un ospedale psichiatrico. Non è accaduto nulla del genere, siete solo capitati al Piccola Russia e il colosso con la katana lucente, che urla frasi sconnesse in tedesco e ringhia come un cane lupo, altri non è che il Gaggina, eroe stupefacente e inarrivabile di quello spicchio di landa fertile che bagna il Po da sotto e che i suoi abitanti chiamano la Bassa.
Da Paolo Roversi – L’ira funesta – Rizzoli
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